Quali sono le norme in vigore sulla privacy, per quanto riguarda l’installazione di telecamere in casa per la sorveglianza di colf, badanti e babysitter? Ecco tutti i chiarimenti in una nota dell’ispettorato del lavoro.
Assumere una colf, una badante o una baby sitter genera spesso dubbi e incertezze, anche in relazione alle continue notizie di cronaca. È frequente, quindi, chiedersi se è necessario (ed anche possibile) installare delle telecamere in casa per la sorveglianza dell’abitazione o della persona assistita dal collaboratore domestico.
Prima di procedere con l’installazione di telecamere in casa per la videosorveglianza bisogna, tuttavia ricordare che questa pratica può portare a conseguenze legali anche gravi, specialmente i materia di violazione della privacy di colf, baby sitter e badanti. Per questo motivo, l’ispettorato del lavoro, nella nota 1004/2017 ha chiarito le regole da rispettare in caso di installazione di videocamere in casa, per la sorveglianza della colf, badante o anche della baby sitter.
Per procedere all’installazione delle telecamere in casa, per la videosorveglianza di persone ed oggetti, è necessario, in relazione alla nota dell’ispettorato del lavoro, richiedere il consenso preventivo al lavoratore e va inoltre rispettato anche l’obbligo informativo, ossia il lavoratore deve essere a conoscenza della collocazione dei sistemi di videosorveglianza e di tutto ciò che riguarda l’utilizzo delle immagini.
Inoltre l’obbligo informativo non può essere scavalcato utilizzando false motivazioni, come per esempio il controllo dell’abitazione da atti vandalici. E’ quindi necessario rivelare le vere motivazioni dell’installazione alla collaboratrice domestica, che potrà accettare o meno di essere ripresa durante il suo orario di lavoro.
Di seguito, riportiamo la nota dell’ispettorato del lavoro numero 1004/2017 che riporta per esteso la normativa.
Richiesta chiarimenti per impianti di videosorveglianza. Riscontro.
Oggetto: Richiesta chiarimenti per impianti di videosorveglianza.
Si riscontra la nota in epigrafe, con cui codesto Ufficio ha chiesto alla scrivente Direzione un parere in merito alla possibilità di autorizzare l’installazione di un impianto di videosorveglianza collocato in un’abitazione privata all’interno della quale è presente un lavoratore domestico.
Al riguardo occorre premettere che si definisce “lavoro domestico” l’attività lavorativa prestata esclusivamente per le necessità della vita familiare del datore di lavoro (art. 1, legge 339/1958), che ha per oggetto la prestazione di servizi di carattere domestico diretti al funzionamento della vita familiare.
Il collaboratore domestico svolge l’attività lavorativa nella casa abitata esclusivamente dal datore di lavoro e dalla sua famiglia, in quanto il rapporto di lavoro domestico non si svolge all’interno di un’impresa organizzata e strutturata, ma
nell’ambito di un nucleo ristretto ed omogeneo, di natura per lo più familiare e risponde alle esigenze tipiche e comuni di ogni famiglia.
Nella sentenza 11-23 dicembre 1987 n. 585, la Corte Costituzionale ha affermato che “non v’è dubbio che il rapporto di lavoro domestico per la sua particolare natura si differenzia, sia in relazione all’oggetto, sia in relazione ai soggetti coinvolti, da ogni altro rapporto di lavoro: esso, infatti, non è prestato a favore di un’impresa avente, nella prevalenza dei
casi, un sistema di lavoro organizzato in forma plurima e differenziata, con possibilità di ricambio o di sostituzione di soggetti, sibbene di un nucleo familiare ristretto ed omogeneo, destinato, quindi, a svolgersi nell’ambito della vita privata
quotidiana di una limitata convivenza. In ragione di tali caratteristiche, proprie al rapporto, la Corte ha già evidenziato, in via di principio, la legittimità di una disciplina speciale anche derogatoria ad alcuni aspetti di quella generale (sentenza n.
27 del 1974)”.
Il rapporto di lavoro domestico, in considerazione della peculiarità dello stesso, sin dall’origine ha goduto di una regolamentazione specifica, che, per l’appunto, tiene conto delle speciali caratteristiche che contraddistinguono la prestazione lavorativa resa dal lavoratore, l’ambiente lavorativo e, fattore non irrilevante, la particolare natura del soggetto datoriale.
Alla luce di siffatte considerazioni, è del tutto evidente che anche le fasi di estinzione del contratto di lavoro domestico sono disciplinate da un corollario normativo che, si può dire quasi fisiologicamente, si allontana dalle regole generali che assistono, ordinariamente, il momento di interruzione del legame negoziale fra le parti interessate.
All’interno quindi del perimetro normativo delineato, il rapporto di lavoro domestico è sottratto alla tutela dello Statuto dei lavoratori (legge n. 300/1970) poiché in questo caso, il datore di lavoro è un soggetto privato non organizzato in forma di impresa.
Di conseguenza è esclusa l’applicabilità dei limiti e dei divieti di cui all’art. 4 della legge n. 300/1970, che insieme agli artt. 2, 3 e 6 costituisce un corpus normativo tipico di una dimensione “produttivistica” dell’attività di impresa, differenziandosi, invece, a titolo esemplificativo, dalla natura estensiva dell’applicabilità dell’art. 8 dello Statuto, che pone il divieto di indagini su profili del lavoratore non attinenti alle sue attitudini professionali e che trova piena cittadinanza anche nell’ambito del lavoro domestico.
L’esclusione del lavoro domestico dall’applicabilità dell’art. 4 della legge n. 300/1970 non sottrae al rispetto dell’ordinaria disciplina sul trattamento dei dati personali, essendo confermata la tutela del diritto del lavoratore alla riservatezza,
garantita dal d.lgs. n.196/2003, che dispone la necessarietà del consenso preventivo e del connesso obbligo informativo degli interessati.
Nell’ambito domestico, il datore di lavoro, anche nel caso di trattamento di dati riservati per finalità esclusivamente personali, incontra i vincoli posti dalla normativa sul trattamento dei dati personali a tutela della riservatezza e in particolare quanto previsto dall’art. 115 del d.lgs. n.196/2003.